Published On: 12 Dicembre 2011Categories: Gestalt Blog

Anna Rita Ravenna (Didatta-Supervisore, Direttrice – Istituto Gestalt Firenze – sede di Roma)

INformazione Psicoterapia Counselling Fenomenologia”, n°1 gennaio – febbraio 2003, pagg. 38-43, Roma

Pubblicato il 12 dicembre 2011 

 

Sommario

Codici, norme legislative ed amministrative, povertà delle risorse costituiscono il contesto dato e quindi i vincoli dell’agire di ogni operatore. Ma la parola ‘vincolo’ non ha solo significato negativo. Il ‘vincolo’, in quanto limite, è costitutivo dell’esistenza stessa che contestualizzandosi permette all’individuo di muoversi nello spazio e nel tempo assumendosi la responsabilità di scelte e comportamenti, sperimentando e sviluppando il gusto etico.

Cosa vuol dire allora etica nello spazio terapeutico e come si integra con norme e vincoli?

Lo psicologo crede nella dignità e nel valore della persona umana. Il suo impegno è volto ad accrescere la comprensione che l’uomo ha di sé stesso e degli altri; nel fare questo, egli è tenuto a salvaguardare il benessere di qualunque persona richieda i suoi servizi e di qualunque soggetto, umano o animale, possa essere l’oggetto dei suoi studi….e della sua pratica clinica. Il corsivo è mio, il resto è l’introduzione ai ‘Principi di etica professionale dello psicologo’ che l’American Psychological Association ha adottato nel lontano 1963 (American Psychologyst, gen.1963). In quanto psicologa, ritengo fondamentali questi concetti ai quali vale la pena di aggiungere: senza distinzione di età, cultura, religione, sesso, o meglio genere e preferenza sessuale.

Paolo Quattrini ama dire che l’etica sta all’azione, al comportamento come l’estetica sta alla creazione artistica.

Si tratta di una misura di valore fondata sulla qualità e tutto ciò che è qualitativo non può essere concettualizzato, descritto, codificato in un testo, non può essere valutato attraverso criteri definiti, uguali per tutti e descritti una volta per tutte.

Il gusto estetico è chiaramente personale.

Parlando di estetica questo punto di vista è facilmente accettabile, mentre per molti di noi è difficile ammettere che anche l’etica sia una questione di gusti personali.

L’etica è una misura di valore, intendo dire con questo che non si possono descrivere in astratto comportamenti etici o non etici, l’etica è l’arte della convivenza e, in quanto tale, se ne può solo avere una esperienza olistica: osservare il proprio comportamento in una situazione data e sperimentarne il vissuto personale in relazione a valori che, in quanto tali, non possono che essere personali.

Quali sono i valori ai quali ci richiamiamo nella nostra pratica professionale ed anche nella nostra vita?

Innanzitutto sottolineamo che nel nostro lavoro l’incontro con l’altro si dà in uno spazio relazionale all’interno del quale si mette in atto un dispositivo etico che chiamiamo relazione d’aiuto (psicoterapeutica/di counselling).

Le due persone si pongono l’una di fronte all’altra nel rispetto della propria soggettività e nella convinzione che ognuna di loro, in quanto essere umano, sia un valore in sé, sia un fine in sé e, quindi, nessuna delle due persone potrà usare l’altro come mezzo per il raggiungimento di propri scopi.

L’azione psicoterapeutica allora è la parte di un tutto, rappresenta ciò che fluisce tra due soggetti ‘etici’ in un contesto etico.

In ottica fenomenologica, l’empatia è lo strumento per porsi di fronte all’altro come soggetto mantenendo la dualità relazionale e nello stesso tempo comprendendo non solo il processo cognitivo, ma il processo affettivo-emotivo dell’altro; comprendere nel senso di prendere con sé e contemporaneamente essere in contatto con il processo che in sé stessi viene evocato dalla presenza dell’altro, senza fare confusione tra i due contesti.

Solo ponendosi all’interno di una relazione psicoterapeutica ognuno può scoprire cosa ha valore etico in base al proprio sentire e sviluppare il gusto etico in questo tipo di relazione. Chi è stato paziente conosce bene quest’esperienza.

Ognuno di noi ha sperimentato nella vita situazioni in cui il comportamento proprio o di un altro risultava irreprensibile dal punto di vista del ‘diritto positivo’ e pur tuttavia risuona inadeguato, spiacevole ad osservarsi ed iniquo.

Valore etico e valore estetico, pur essendo intriseci all’esperienza e quindi soggettivi, non sono realtà solipsistiche: esistono opere d’arte e comportamenti di valore etico generalmente riconosciuti.

Il denominatore comune sembra essere la capacità di attrarre l’interesse, di suscitare piacere e desiderio di stare in presenza dell’altro, oggetto o persona che sia, di continuare la relazione.

La presenza di questi valori sembra aprire immense potenzialità verso una continua ricerca ed una continua creazione.

Questo sentire, al contrario, non è tipico di comportamenti semplicemente ‘morali’: ubbidire alle regole, comunque poste, può generare un senso di tranquillità, ma non genera apertura, interesse, non permette di esplorare, di scoprire l’esistenza di altre possibilità, in una relazione fluida e nutriente.

Sia per i singoli che per la comunità entrambe le parole ‘morale’ ed ‘etica’ si riferiscono a valori specifici, con propri pesi e significati.

E’ importante non confonderli e non confondere gli strumenti che permettono di rilevarne la presenza nelle condotte umane.

Possiamo immaginare etica e morale come legittimazione di un inserimento a ‘pieno diritto’ nel consesso umano.

Questo inserimento, tuttavia, non avviene mai in astratto; si tratta sempre di singoli ‘individui’ all’interno di una comunità ‘strutturata da’ e ‘strutturante una’ cultura in continuo divenire.

La compattezza e la apparente continuità del mondo di valori espressi dalla comunità in un momento dato sono di fatto costantemente incrinate da questo divenire e le norme che apparivano ovvie in un tempo antecedente vengono messe in discussione e, in un tempo successivo, non funzionano più come consueti criteri di legittimazione.

Tutti sappiamo che il diritto positivo è espressione di interessi, di rapporti di potere e quindi senza validità assoluta. In effetti la scelta individuale nasce dalla dialettica interna delle forze in gioco.

Giusto/ingiusto, buono/cattivo hanno sempre un valore relativo: per me, qui ed ora.

La via d’uscita dal relativismo morale sembra essere, allora, quella di rivolgere l’interrogativo morale ad individui responsabili pronti a rispondere, a ‘pagare i prezzi’ di comportamenti e di scelte nate dal contatto con il loro mondo emozionale e da consapevoli esperienze con il mondo sensibile, piuttosto che da leggi presunte ‘naturali’ e scaturite da un astratto e deresponsabilizzante mondo delle idee.

Si tratta di pensare etica e morale come valori che orientano il comportamento umano al servizio dell’uomo stesso, che recuperano la centralità dell’individuo ed il suo inserimento a pieno diritto nel sociale sottraendolo alla marginalità derivante da marchi discriminanti.

Qual è allora la funzione dei Codici deontologici e, più in generale, della normativa che regola i comportamenti professionali?

Come già detto, ogni comunità utilizza dei criteri per legittimare l’ingresso di individui al suo interno e la loro permanenza in essa, nonché prescrive i comportamenti adeguati per il raggiungimento degli scopi che la comunità stessa si prefigge.

Una comunità professionale ha anche la funzione di preservare la fiducia dei clienti ai quali la professione si rivolge ed offrire loro tutela e garanzia della qualità dei servizi prestati.

Questi fino sono perseguiti attraverso una normativa adeguata fondata su criteri astratti e mutanti nel tempo; alcuni professionisti, infatti, trovandoli non più adeguati a nuovi contesti, iniziano consapevolmente e responsabilmente a disattenderli mettendo le basi per la loro trasformazione.

Malgrado questa relatività, le norme svolgono la loro funzione e soprattutto fungono da indicazioni comportamentali per i professionisti che iniziano la loro attività e che, movendosi su binari precostituiti, si sentono protetti e tutelati in un momento della loro vita professionale in cui la tensione legata all’assunzione di rischio è già naturalmente alta.

Alcuni esempi specifici possono aiutarci a comprendere quanto sia importante per i professionisti muoversi tra le due sponde: la liceità dei loro comportamenti (morale/diritto) e la bontà dei loro comportamenti (etica).

Nella pratica psicoterapeutica, il lavoro con la committenza, per esempio, richiede di muoversi secondo linee sperimentate e consolidate nel tempo che soprattutto i più giovani operatori è bene che conoscano e seguano.

Si tratta, infatti, di contemperare le esigenze di più soggetti senza vanificare l’alleanza terapeutica con il cliente.

La normativa, da una parte, può agevolare questa funzione, dall’altra, se troppo rigida o troppo rigidamente interpretata, può ostacolarla del tutto.

Si pensi alla relazione d’aiuto con ragazzi minorenni ed alla necessaria relazione con i genitori, al lavoro in équipe negli ospedali ed al tema del segreto professionale, per non parlare delle testimonianze in tribunale.

Ma altre regole e quindi altri vincoli si presentano agli operatori.

Nel servizio pubblico, ad esempio, l’istituzione di qualsiasi attività richiede di dare risposte ad una serie di quesiti teoricamente definiti dai valori correnti,  dalla normativa vigente e dalle risorse disponibili.

La scarsità delle risorse rispetto all’ampiezza delle domande pone di fronte alla necessità di individuare validi criteri di scelta.

Porto ad esempio la mia esperienza nel costituire gruppi di psicoterapia in un servizio pubblico.

Per i professionisti che lavorano nell’ambito socio-sanitario, è oggi chiara la necessità di un’evoluzione e di un ampliamento delle modalità di applicazione della psicoterapia di gruppo. Molti di loro, infatti, sottolineano l’importanza dello sviluppo di una ‘cultura del benessere’ della comunità come benessere psicofisico promosso dall’educazione emozionale degli individui nei relativi contesti di vita (scuole, aziende, ospedali, etc).

Nelle strutture ospedaliere la ‘cultura del benessere’ agevola l’emergere del bisogno di interventi complementari alle cure mediche quali possono essere gli incontri di counselling ed il percorso psicoterapeutico ed un conseguente approccio interdisciplinare.

In una struttura pubblica occorre, tuttavia, tener conto dell’equilibrio funzionale tra efficacia ed efficienza di ciascun intervento rispetto agli aspetti e alle problematiche che interagiscono in ambito istituzionale, quali ad esempio la difficoltà di relazione tra professionalità diverse, l’esigenza di una redistribuzione delle risorse economiche e logistiche, la collaborazione di istanze organizzative diverse, spesso, con esperienze, codici ed interessi non facilmente conciliabili.

Soffermiamoci su alcuni aspetti affrontati presso il servizio di cui parlo, e chiaramente evidenziati anche in letteratura:

l’efficacia (efficacy) della psicoterapia di gruppo come sperimentata e validata ormai da tempo, anche nelle sue forme di psicoterapia di gruppo breve (PGB) e di psicoterapia di gruppo a tempo limitato (PGTL);

l’efficienza della psicoterapia individuale e di gruppo nelle strutture pubbliche in quanto attività mirata e con capacità fattuale a produrre gli effetti desiderati non solo di tipo manageriale, ma anche terapeutici;

l’efficacia nella pratica quotidiana (effectiveness) della psicoterapia di gruppo a produrre il risultato atteso nella realtà del servizio di cui mi sono occupata.

A tal proposito, pur nella coscienza della scarsità delle risorse, spesso si sottolinea, con toni fortemente critici i gravi rischi che può comportare un sempre più diffuso approccio efficientista sostenuto prevalentemente da questioni economiche.

In relazione alla psicoterapia in gruppo ed alla psicoterapia in generale praticata nell’ambito delle strutture pubbliche, molti professionisti sottolineano le forti implicazioni conseguenti ad una sorta di “industrializzazione” della salute psichica che rischia di snaturare il senso e lo scopo essenziale di un processo terapeutico di qualsiasi tipo.

Solo se l’équipe interdisciplinare è in grado di analizzare il bisogno degli utenti del Servizio (anche degli operatori) e valutare modalità di risposte congrue ed integrate nel più ampio processo clinico, la qualità e l’efficacia del servizio psicoterapeutico potrà essere garantita. In una specifica struttura pubblica, perché l’offerta psicoterapeutica, sia individuale che di gruppo, risulti praticamente efficace (effectiveness), occorre partire, innanzitutto, da una chiara individuazione della popolazione alla quale si rivolge, condizione fondamentale per un processo di elaborazione di un intervento congruo alle richieste dell’utenza. Si evita, in tal modo, il rischio di autoreferenzialità delle organizzazioni ad alto livello di burocratizzazione, cioè il rischio dello strutturarsi di una reiterata collusione fra le richieste di psicoterapia e l’offerta standardizzata della stessa.

Protocolli e procedure d’intervento che, a volte, possono apparire meri irrigidimenti burocratici, se correttamente applicati a partire dalle fasi iniziali di primo contatto e diagnosi, permettono di inserire il lavoro di psicoterapia in gruppo in un processo funzionale ad agevolare le trasformazioni della vita quotidiana dell’individuo, attraverso un attento bilancio tra struttura minima necessaria e libertà di ogni membro del gruppo.

La ricchezza che può scaturire da un simile equilibrio permette di preservare lo spazio per graduale e profondo contatto con il disagio personale che, attraverso il lavoro in gruppo, riesce ad esprimersi ed evolvere. Si preservano così, ad un tempo, l’efficacia terapeutica dell’intervento e le sue caratteristiche di efficienza relative al contenimento dei costi, alla gestione funzionale delle risorse professionali ed alla riduzione dei tempi d’attesa per l’utenza. Frequentemente, infatti, presso i servizi pubblici le richieste di trattamento sono di gran lunga superiori alle loro capacità di erogazione.

Se questi sono alcuni esempi dei numerosi vincoli creati dai limiti della contingenza tecnica e culturale in dialettica con le risorse dell’habitat sociale come possono muoversi, e muoversi agevolmente, gli operatori alla relazione d’aiuto, psicoterapeuti e counsellors, ma anche genitori e insegnanti? Imparando a fare i conti con il contesto dato, ad assumersi la responsabilità delle scelte e dei comportamenti, sperimentando e sviluppando il gusto etico.

 

 Bibliografia

 

American Psychologist, Rivista, gennaio 1963

Bertalanaffy von L., Teoria generale dei sistemi, Mondadori, Milano, 1983

Costantini  A., (a cura di), Psicoterapia di gruppo a tempo limitato, Milano, McGraw-Hill, 2000

Codice deontologico dell’Ordine degli Psicologi, in Notiziario dell’Ordine degli Psicologi, 1999

Codice deontologico della Federazione Italiana Psicoterapia (FIAP), in Psicoterapia-Psicoterapie, 2001

Codice deontologico dell’European Association for Gestalt Therapy (EAGT), ad uso interno Istituto Gestalt Firenze

Codice deontologico dell’Associazione Italiana Counselling (AICo), ad uso interno Istituto Gestalt Firenze.

Perls F., Psicoterapia autobiografica, Sovera, Roma, 1991

Quattrini G.P., Istituto Gestalt Firenze (dispense ad uso interno)

Ruggieri V., L’esperienza estetica. Fondamenti psicofisiologici per un’educazione estetica, Armando, Roma, 1997